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La leggenda delle Fate prigioniere nella Grotta del Cavallone (Abruzzo)

Nel cuore del Parco Nazionale della Majella, nel territorio del comune di Taranta Peligna, c’è una grotta stupefacente e misteriosa. È la più alta grotta naturale visitabile in Europa, famosa per essere stata scelta come scenografia della tragedia dannunziana “La figlia di Iorio”.

Si tratta della Grotta del Cavallone, così chiamata perché la parete del suo ingresso ricorda il profilo della testa di un cavallo.

Entrando c’è un fatato mondo sotterraneo, tra passaggi, sale, stalattiti e stalagmiti.

Spesso, i luoghi incantati, celano strani misteri e antiche leggende.

Si racconta, che tra le rocce di questa grotta, un tempo vivessero delle fate.

Anche se a volte giocavano a fare qualche dispetto, erano molto buone e cercavano di facilitare le scelte degli esseri umani attraverso dei sogni premonitori o li sostenevano semplicemente facendo loro dei doni.

Questi magici aiuti però, non erano visti di buon occhio dagli dei che regolavano la sorte degli uomini, indispettiti, decisero di punire le piccole creature per i loro interventi.

Un giorno, mentre le fate si trovavano all’interno della grotta, decine di massi, provenienti da una violenta frana chiusero l’ingresso della loro dimora intrappolandole all’interno. Non avendo più via d’uscita, rimasero per sempre prigioniere tra le rocce.

Si narra, che ancora oggi, entrando in silenzio nella Grotta del Cavallone, si riescano ad ascoltare dei flebili lamenti che, via via, si tramutano in soavi e carezzevoli canti.

Secondo un’altra versione locale, pare che in realtà le magiche creature della storia, fossero in realtà molto fastidiose. Le loro marachelle, indispettirono San Martino, patrono del poco distante borgo di Fara.

Il Santo, per farle smettere di tormentare gli abitanti del paese, d’improvviso, staccò dei massi dalla vicina montagna che sigillarono irreversibilmente l’ingresso della grotta.

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